MATTEO CESARANO SINDACALISTA CISL METTE IN DUBBIO L'ACCORDO RAGGIUNTO PER L'OSPEDALE DI CARIATI ""L'ACCORDO SAREBBE SERVITO SOLO PER SBLOCCARE LA SS 106"




CARIATI - Pasquale Loiacono – “Sarebbe stato meglio se ci fossimo rivolti alla criminalità organizzata oppure alla massoneria o ad altri poteri occulti. Sicuramente avremmo risolto, una volta per tutte, i problemi dell’ospedale cariatese”.
È la durissima, amara provocazione di Matteo Cesarano, sindacalista Cisl, in ordine alla clamorosa involuzione del “dopo – protesta” popolare in difesa del presidio ospedaliero “Vittorio Cosentino”.
Cesarano non gradisce le indiscrezioni trapelate sulla stampa circa il cosiddetto “Piano di rientro” che riscrive il modello organizzato sanitario regionale il quale punta, prioritariamente, sul potenziamento della medicina territoriale con conseguente riconversione di almeno 18 ospedali, fra cui quello di Cariati.
“Ci sono evidenti incongruenze – si sfoga il sindacalista – determinate da una constatazione semplicissima: chi sta redigendo quel “Piano” non conosce il territorio né considera nella giusta dimensione il malcontento generale della gente. Nessuno ha mai pensato di volere l’ospedale sotto casa, ma si pretende che almeno sia garantito un buon livello di cure, proprio quelle che assicurava il “Cosentino”, nel mirino della politica da almeno 5 anni. Insomma, l’ospedale deve essere soppresso, per un disegno tanto ardito quanto premeditato, a favore di altre realtà, anche vicine ma meglio “controllate” dai potenti di turno”.
Sicché il protocollo d’intesa firmato dal direttore generale dell’azienda sanitaria provinciale, Franco Petramala, e garantito dal prefetto, non avrebbe avuto altro scopo se non quello di far cessare l’occupazione della statale 106.
“Sembra proprio così – conferma Cesarano – alla luce delle dichiarazioni rese dal Petramala ad una radio locale. Torno a ribadire che i numeri sono dalla parte del “Cosentino”, il nosocomio più produttivo della ex Asl 3 di Rossano. Comunque, è inutile menare il can per l’aia, perché deve essere chiaro che le popolazioni del Basso Jonio altro non avevano chiesto se non la riapertura della ostetricia e, di conseguenza, dei blocchi operatori chiusi dai Nas. Non la luna. Qui ci sono 400/450 parti all’anno, senza complicazioni: c’è qualche ostetricia più attiva?”
Senza tenere conto che “questo ospedale è l’unico baluardo di civiltà nel territorio le cui condizioni di viabilità sono a tutti note: una statale mulattiera, con la famosa strozzatura del vergognoso ponte di Mirto, che miete decine di vittime; servizi di trasporto pubblico vicini alle zero; viabilità sconvolta; assistenza domiciliare esistente solo sulla carta. Solo quando si aprirà il famoso ospedale unico della Sibaritide i vertici sanitari potranno disporre a loro piacimento: prima no. Sarebbe come se io, che decido di cambiare auto, mi sbarazzo della vecchia senza prima avere la nuova: nel frattempo come cammino?”
Insomma, la tensione è ancora alta e l’esasperazione ai massimi storici, tanto che Raffaele Bombino, della sigla sindacale Rdb – Cub, taglia corto: “A questo punto i signori sindaci del territorio dovrebbero tutti rassegnare le dimissioni. Da subito”.


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