Grave azione di bullismo al professionale di Cariati il branco prima avvisa “Hai parlato. La pagherai” e poi aggredisce un giovane studente
E’ stato una punizione ed una aggressione in piena regola messa in atto da quattro studenti dello stesso istituto
CARIATI - Pasquale Loiacono - È sempre più labile il confine che separa il classico “bullismo” a scuola e la violenza vera e propria, e sono tantissime anche le situazioni di brutalità che la vittima e la sua famiglia non trovano il coraggio di denunciare.
A Mario (che chiamiamo così, con un nome di fantasia), 14 anni, studente al primo anno dell’Istituto professionale di Stato “Mazzone” di Cariati, quattro suoi coetanei glielo avevano promesso: “Hai parlato. La pagherai”.
E Mario ha pagato con un’aggressione di tipico stampo mafioso, quella cultura della sopraffazione che proprio la scuola dovrebbe contribuire ad eliminare.
Lo aspettano alla fine delle lezioni; il branco lo accerchia; pugni, botte da orbi, calci: un assalto in piena regola che lascia indifferenti le centinaia di ragazzi che escono da scuola e, forse, anche qualche docente.
È questo l’aspetto più traumatico e vergognoso della vicenda la noncuranza, il distacco, l’apatia di tanti ragazzi che fingono di non vedere e girano il volto dall’altra parte.
Paura? Inquietudine? O accettazione passiva di un clima di prepotenza che impone i diritti dei più forti e fomenta la paura?
Mario è un ragazzone, il “gigante buono”, come lo chiamano gli amici della banda musicale ove suona da anni.
Non reagisce; nel pestaggio perde gli occhiali; gli spaccano il labbro ed ora non potrà, per lungo tempo, frequentare il conservatorio “Giacomantonio” di Cosenza ove è iscritto al secondo anno di clarinetto.
Ed ha paura. “Non vuole tornare più a scuola – dice la mamma – e non c’è verso di convincerlo”.
Ma veniamo alla nuda cronaca, così come è stata denunciata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Catanzaro.
Un paio di settimane fa, nell’atrio dell’istituto deflagra un grosso petardo, per cui il dirigente scolastico minaccia di sospendere la classe se non s’individua il responsabile.
Mario, che non confonde l’omertà col senso civico, ha visto tutto ed indica l’autore del fattaccio in un suo compagno di classe.
Inizia il calvario: vessazioni d’ogni tipo, angherie, minacce esplicite.
Mario ne parla con la mamma la quale si reca per ben due volte (anche il giorno prima dell’agguato) al “Mazzone”, ma dirigenti e docenti la rassicurano: “Non succederà nulla, signora. Stia tranquilla”.
Ma giovedì scorso i fatti precipitano.
Il branco diserta le lezioni ed intorno alle 11 scavalca la recinzione del cortile, dove gli alunni sono soliti passare la ricreazione; si avvicinano a Mario e l’avvisano: “Quando esci ti picchiamo”.
Il ragazzo racconta tutto ad una docente che lo accompagna dal preside.
Ancora garanzie: “Non ti preoccupare. Ho già avvisato le famiglie ed adottato le misure opportune”.
Non è così.
Sono da poco passate le 13; Mario è in cammino verso casa; gli si avvicina, come promesso, il “boss” del clan; Mario si divincola e continua per la sua strada; lo seguono e l’inchiodano ad un muro; picchiano duro, dappertutto, e lo abbandonano a terra, sanguinante.
Nessuno tenta di bloccare i delinquenti; solo dopo, a pestaggio avvenuto, si avvicina una ragazza per porgergli un fazzoletto.
Lo studente ha la forza di chiamare al telefonino la mamma che giunge in un baleno; lo vede lì, dolorante, col sangue che gli scende dalle labbra: lo fa rialzare e, “con tutta la rabbia che avevo”, dice, va dritto dal dirigente scolastico: “È questa è la tutela che avevate promesso?”
Mario sta male; ha bisogno di cure.
Così si corre al pronto soccorso del vicino ospedale.
I medici scrivono sul referto: “Ferita lacero contusa con perdita di sostaza al labbro superiore; escoriazioni varie al collo ed emifaccia sinistra; contusioni alle spalle e stato di agitazione”. La prognosi è di otto giorni.
Intano giungono i carabinieri della locale stazione per i primi accertamenti.
Mario è psicologicamente distrutto; è terrorizzato; in quella scuola non vuole più mettere piede, e la mamma pretende “che la giustizia faccia il suo corso, non solo nei confronti degli autori del fatto, ma anche verso chi aveva la vigilanza sul minore e non ha provveduto ad adottare i necessari provvedimenti”.
Insomma, per l’istituto i legali della signora configurano il reato di “gravi omissioni nei propri compiti istituzionali d’ufficio”.
La scuola, nel frattempo, ha sospeso per quindici giorni il “branco”.
Troppo tardi.
Per arginare il tristissimo fenomeno, il ministero della pubblica istruzione ha istituito il numero verde 800.669.696 (mai adeguatamente pubblicizzato) cui possono rivolgersi tutti gli studenti vittime di soprusi.
In ogni caso ci sono sempre le forze dell’ordine, pronte ad intervenire ad ogni minima segnalazione.
Non abbiate paura. Siate tutti come Mario. Denunciate.