Amministrative 2011, spuntano le prime alleanze e gli aspiranti candidati a sindaco


Giovani di belle speranze pensano di condizionare la politica cariatese ma, di politica sanno poco o niente



CARIATI – Elezioni comunali di primavera: proseguono senza soste gli incontri “carbonari” tra gruppi politici, giovanotti di belle speranze, integrati, apocalittici e prostatici incipienti.
C’è un tale rimescolio di candidati, con un tripudio di conversioni, che la via di Damasco, se facesse parte della topografia locale, dovrebbe essere gremita, con tutto il rispetto, come Piazza San Pietro nell’Angelus domenicale.
Tutti aspirano al cambiamento: però, di solito, nella nostra città mutano di posto i suonatori, ma la musica resta la stessa.
Il repertorio liturgico è sempre uguale (e troppo spesso anche gli interpreti): ognuno propone un modello di felicità che a prima vista fa venire in mente il villano Bertoldo quando voleva scegliere l' albero a cui impiccarsi.
La sola certezza, ed appare scontato, è che la coalizione uscente, coordinata dal sindaco Filippo Giovanni Sero, agli elettori si sottoporrà compatta, con qualche piccolo aggiustamento, forse anche clamoroso.
A contrastare il Sero ci sarà, anche questa notizia appare certificata, l’intesa che fa capo al Pd, all’Udc ed ai Socialisti di Zavettieri.
Aspira alla poltrona di sindaco Mario Sero, capogruppo del Partito democratico nel parlamentino cariatese.
Con un cursus honorum rispettabile, iniziato fin dal 1997, il Sero (Mario) gode di una straordinaria visibilità che gli deriva dall’opposizione costante alla maggioranza.
Ma non finisce qui, perché ci sarebbero le cosiddette forze “moderate” ed i piccoli partiti: da quel versante, allo stato, ci sono solo congetture non verificabili, anche se circola, insistente, la voce che sarebbe pronta una “santa alleanza” col proposito unico di disarcionare Filippo Giovanni Sero.
Di certo c’è che ogni “concorrente” ha alle spalle la consueta “famiglia”.
E a maggio, alle urne, ci sarà un' ulteriore prova della forza dei legami di sangue, e dell' importanza del Dna nell' ereditarietà dei caratteri e anche delle carriere.
Ma la gente appare del tutto indifferente, perché il protocollo è noioso; perché non esprime il sentimento popolare; perché la politica non è sempre un servizio ma, spesso, è un impiego.
Basta assistere al penoso cerimoniale della formazione delle liste: sembra di leggere le pagine di un romanzo russo dell' Ottocento, quando si narra della morte di uno «starosta», un capoccione ricco, e della ripartizione delle «anime»: a quei tempi servi e contadini.
Ci sono alleanze che fanno venire in mente i fidanzamenti con le madrine di guerra (amori a prima svista, destinati a finire con un trasferimento di reparto o di zona) o certi disperati e patetici tentativi di rianimazione, ma è consigliata la calma, giacché l’elettore è come l'elefante: il bestione non dimentica che il guardiano una volta gli ha fregato le mele, e vent’ anni dopo allunga la zampata.




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