L’esame autoptico sul cadavere rinvenuto sabato sulla spiaggia di Mandatoriccio ha confermato che trattasi di annegamento
Trattasi di un uomo disesso maschile, forse di 35 – 40 anni, di razza caucasica, corporatura robusta e di circa un metro e settanta di altezza.
CARIATI – È stata effettuata ieri pomeriggio, presso l’obitorio dell’ex ospedale di Cariati, a cura dei medici legali Maurizio Chimenz e Maria Pia Sciacca, l’esame autoptico sul cadavere rinvenuto sabato scorso nella spiaggia di Mandatoriccio Mare, in Contrada Arso.
Come avevamo ampiamente riportato, le cause del decesso che sono state presumibilmente determinate da annegamento.
La persona è di sesso maschile, forse di 35 – 40 anni, di razza caucasica, corporatura robusta e di circa un metro e settanta di altezza.
I dubbi sono dovuti alla lunga esposizione del’uomo in mare che potrebbero essre fatti risalire dai 4 ai 6 mesi.
Per farla breve (e noi lo abbiamo visto e riportato) quel cadavere era talmente “saponificato” che al ritrovamento è stato difficoltoso stabilire finanche il sesso.
Chi sia, chi sia stata quella persona resta, per ora, un mistero.
Ma non è complicato dedurre, purtroppo, che potremmo essere dinanzi al solito disperato della terra che muore nel mare, nella speranza di raggiungere l’isola felice dove costruirsi una vita migliore.
Un extracomunitario? Una “persona” che cercava di raggiungere l’Italia a bordo di qualche carretta del mare?
Non abbiamo certezze se non la nostra solita, meschina maschera di cordoglio.
Ma chi piangerà quei resti ridotti in poltiglia che si sono arenati, come un cetaceo, su un anonimo arenile della mesta Calabria?
Domande senza risposte, mentre quel fagotto irriconoscibile di ossa e di carne disfatta sarà sepolto, senza nome, senza identità, nel cimitero di Cariati.
Una croce, un cippo marmoreo, qualche scritta burocratica, nessuna foto e, forse, nessun fiore, per un uomo perduto, tradito dal tempo e dai marosi dello Jonio: forse, se non avesse avuto quel giubbotto salvagente che lo ha tenuto a galla per giorni infiniti, avrebbe riposato con più decoro nelle profondità del mare.
Lo sconosciuto è un cumulo saponificato di muscoli e nervi; il volto irriconoscibile; pantaloni che, forse, un tempo erano bianchi; un giubbotto scuro, indistinto; sui resti della schiena, attorcigliato al collo, un salvagente di quelli, a prima vista, regolamentari, dal classico colore arancione: l’unico oggetto riconoscibile.
La prima, sommaria perizia medica, è quella di Raffaele Franzè, medico del distretto sanitario di Cariati.
Da subito si capisce che la morte sopraggiunge per annegamento o per probabile ipotermia.
Adesso, l’unica certezza sono quei brandelli indistinti di materia, una volta viva ed ora adagiati quaggiù, sulla spiaggia desolata e deserta della costa jonica, dove il mare infrange la tiepida sabbia dopo la burrasca delle ultime ore e riporta alla polvere i resti mortali di un essere umano, magari un disperato della terra, un “ultimo”, un diseredato della nostra “splendida” società, ma uno di noi, come noi, che il mare ci ha restituito, quasi per ammonirci che siamo tutti naufraghi del mondo e che i deboli possono perire nei flutti della vita.